#117. Gli Adoratori della Morte (1971)


Gli Adoratori della Morte

Per questa prima puntata della rubrica mensile The Real Trash, che esamina filmacci prodotti in ogni tempo e luogo, ho pensato di propinarvi un film che fa della totale inesistenza di personaggi, trama e senso il suo punto di forza.

Gli Adoratori della Morte è un film del 1971 di Juan Ibanez e Jack Hill. Protagonista della pellicola è Boris Karloff, immortale interprete di “Frankenstein” (1931) di James Whale e presente anche in “I Tre Volti della Paura” (1963) di Mario Bava, qui alla sua ultima apparizione. Il film uscì anni dopo la sua realizzazione per la morte del produttore Vergara e anche dopo la morte di Karloff stesso.

Titolo originale: La Muerte Vivente

Anno: MEX 1971

Regia: Juan Ibanez, Jack Hill

Soggetto: Juan Ibanez

Sceneggiatura: Jack Hill

Cast: Boris Karloff, Julissa, Carlos East, Rapahel Bertrand, Yolanda Montes (accreditata come Tongolele), Quintin Bulnes, Santanon, Martinique, Julia Marichal, Yol Duhalt

Durata: 90 minuti

101 Parole di trama (no spoiler)

Il capitano Labasch è appena giunto su un’isola sperduta con il compito di riportare l’ordine nella comunità e cancellare le usanze degli abitanti dell’isola dediti a riti magici e al vodoo e che, si dice, siano in grado di riportare in vita i morti. Sul suo cammino trova l’ostilità del latifondista Carl Van Molder che lo ammonisce circa la pericolosità di estirpare le tradizioni ai nativi. Incurante delle rimostranze inizia a setacciare l’isola assieme al tenente Wilhelm in cerca dei responsabili dei riti magici ma a quanto pare i poteri della gente del luogo sono più forti di quanto potesse pensare.

Recensione & Commento (appassionato)

Prima di lanciarmi con scelleratezza verso il commento di questo ciarpame cinematografico, cercherò di contestualizzare un minimo questa opera frutto dell’incredibile genialità messicana.

“Gli Adoratori della Morte”, distribuito negli Stati Uniti prima in spagnolo con il titolo “La Muerte Vivente”, quindi doppiato in inglese con il titolo “The Isle of the Snake People” fa parte di un poker di film con un budget complessivo pari al valore di uno stuzzicandeti, una cipolla e una gomma da masticare, tutti prodotti dal geniale Luis Enrique Vergara che per farsi sganciare qualche soldo, decise di scritturare il povero Boris Karloff, vecchio, malato e con un polmone solo contribuendo così a fargli chiudere una gloriosa carriera in modo vomitevole. Gli altri titoli, dei quali sicuramente vi parlerò quando deciderò di mandare completamente in pappa il cervello, sono “The Incredible Invasion” (1971), “Fear Chamber” (1968) e House of Evil (1968); per questi e per il nostro Gli Adoratori Karloff si beccò 100mila $ a botta, credo pari al 2000% del budget previsto.

Il film fu girato nel 1968, ma dopo la morte di Vergara si accese una disputa sulla paternità dei diritti sull’opera, nel senso che nessuno voleva sporcarsi le mani di cioccolata attribuendosi la proprietà intellettuale o fisica della pellicola, quindi il film venne distribuito solo nel 1971, quando anche il povero Karloff aveva già tirato le cuoia, probabilmente per essersi reso conto dell’immane vaccata fatta recitando in questi ultimi film.

Ma eccoci al film, che definire film è pari ad una bestemmia detta in chiesa la notte di Natale. D’altronde questa rubrica si chiama The Real Trash e purtroppo o per fortuna comprende dei titoli come questo che fanno andare il sangue al cervello.

Mettetevi subito in testa che una trama non c’è, non c’è neppure un’idea di fondo ma solo estenuanti piani sequenza che parlano di nulla (realmente di nulla, in tutto il film verranno dette si e no 15 parole, tutte inutili ai fini del racconto) e quando pensate dopo 10 minuti 10 che state guardando una scena, di aver vagamente capito di cosa si sta parlando, l’abile regista spiazza tutti con un’altra estenuante scena che parla, o meglio vorrebbe parlare, di tutt’altro.

Uno pensa “Vabbè non c’è la trama ma almeno ci saranno dei protagonisti cazzuti che fanno qualcosa di serio o alla peggio qualcosa talmente assurdo che fa ridere!”. No, neppure questo. Possiamo ascrivere sotto la colonna “Latitanti” anche i personaggi. Non esistono neppure protagonisti: il Capitano Pierre Labesch che dovrebbe in realtà essere il protagonista, compare a tratti, spinto ai margini dalla figura della domestica-occultista-danzatrice Kalea, probabilmente antenata della nostra Moira Orfei. Altro protagonista-non protagonista è il nano senza nome, la cui figura e ruolo non sono chiari nello svolgersi della trama. Il suo personaggio è talmente inutile che si decide di ammazzarlo senza un motivo, per rendere onore all’estrema immotivatezza della sua esistenza, della margherita tatuata sul cranio e dei suoi occhiali da vista e da sole.

Gli Adoratori della Morte

Risponderete voi: “Ma cazzarola, c’è Boris Karloff!”. Esatto, risponderò io, ma quello che vedete sullo schermo non è che il fantasma della brutta copia di Boris Karloff, ormai spento e ad un passo dalla morte, le cui pessime condizioni di salute costrinsero la troupe a filmare le scene in sua presenza in America e non ad alta quota in Messico per evitare al vecchio divo un viaggio che poteva a conti fatti risultargli fatale, dal momento che dopo l’asportazione di un tumore, gli rimaneva solamente un polmone. Per una strana coicidenza (o forse no?) l’attore fu doppiato (o almeno così mi è sembrato) dallo stesso che doppiò un altro trashissimo personaggio: il protagonista di “7 Per l’Infinito Contro i Mostri Spaziali” (1970) di Al Adamson.

Ora, io non voglio fare il razzista nei confronti dei messicani, per l’amor di dio, non ne conosco neanche uno e posso solo basarmi sull’immagine che una lunga letteratura cinematografica ne ha dipinto (questa volta sì, in modo un po’ razzista), ma una nefandezza del genere, una montagna di cioccolata così fumante è difficile da trovare in giro. Inoltre IMDb mi informa che la durata dovrebbe essere di 90 minuti, anche se la copia in mio possesso arriva a malapena a 72 e credetemi ce ne sono almeno 50 di troppo: basterebbe tagliare le scene-doppioni e i momenti di silenzio o nei quali effettivamente non accade nulla e Gli Adoratori potrebbe tranquillamente diventare un cortometraggio. Anche abbastanza lunghetto, se devo essere sincero.

All’interno di quella che si dovrebbe definire trama, Ibanez riversa un po’ tutto quello di cui probabilmente aveva sentito parlare in giro, ovvero, horror, voodoo, zombi, riti magici eccetera, tuttavia ci tengo a precisare che:

  1. Non assistiamo mai a scene di voodoo. Mai. Solamente a qualche scena in cui la nostra finta Moira Orfei Kalea prende un piattino con della corteccia e gli da fuoco col pensiero, oppure carbonizza senza motivo la donna zombi che rischiava di essere violentata. Ma questo non è voodoo, è solo una stronzata. La suddetta Kalea, che pare non essere più di primo pelo, ma con un fisichino non da buttare, con la collaborazione del nano malefico tenterà anche di rapire lo spirito di Annabella Vanderberg, che in un sogno ad altissimo contenuto di non-sense vede se stessa sdoppiata appariree e scomparire ripetutamente.

Gli Adoratori della Morte 3

  1. Non vediamo zombi per come abbiamo imparato a conoscerli. Solamente un donna resuscitata dalla tomba, la stessa che vediamo nella prima scena iniziare a sgrillettarsi ricoperta di carta igienica all’interno di un sarcofago, che, nonostante il colorito violaceo e (suppongo io) la terrificante puzza di morto, attrae morbosamente il luogotenente di Van Molder, a cui piace vincere facile, che tenterà di stuprarla compiendo a tutti gli effetti un atto di necrofilia se non fosse fermato appena in tempo dallo stesso Van Molder che inizierà a colpirlo a bastonate come nella più penosa scena comica stile Benny Hill.
  2. Non vediamo riti magici. Solamente la già stracitata Kalea maneggiare serpenti in cerimonie di dubbia utilità. Si noti che in uno dei primi fotogrammi, sovraesposta ad una mappa marinaresca stile 1800 che dovrebbe farci capire la posizione si sta cavolo di isola dove si svolgono i non-fatti, si vede la statuetta della Dea dei Serpenti della civiltà minoica, quasi a dare una sorta di spessore e filiazione storica degli eventi narrati.

Non ci sarebbero da spendere parole sulle scelte stilistiche di Ibanez che saggiamente decide di girare tutta la pellicola con una sottoesposizione tale che non si riesce a vedere un piffero. Non che ci sia qualcosa da vedere, sia chiaro.

Parallelamente non ci sarebbero da spendere parole su alcune scelte dei costumi, ma mi pare doveroso menzionare il terrificante travestimento di Karloff-Van Molder sotto le spoglie di Damballah. Ebbene si presenta in scena vestito completamente in nero, con in testa quello che sembra un collant liso o forse una zanzariera, cappello nero, occhialoni tondi, anch’essi neri (sia mai che ci sia troppa luce all’interno di una grotta) e sigaro accceso in bocca. Notare che il velo che ha in faccia non ha buchi per la bocca, quindi svolge anche il compito di filtro antiparticolato per il fumo di sigaro. Ora, avete mai visto una divinità agghindata un modo del genere? Pare di rivedere lo Zucchero “Sugar” Fornaciari dei tempi d’oro. In preda a delirium tremens.

Gli Adoratori della Morte 4

Scena imperdibile

La scena finale, un mix letale di non-sense e voglia di concludere il film svogliatamente che è altamente lesiva per le retine dello spettatore. In essa l’unto capitano Labesch e il suo svogliatissimo aiutante decidono che il modo migliore di infiltrarsi in una cerimonia dove tutti sono nudi o vestiti di bianco è mettersi in testa un telo nero con due buchi per gli occhi. Vengono, ovviamente, sgamati in pieno ma si salvano momentaneamente dal linciaggio con le loro pistole; durante la colluttazione che ne segue Damballah-Van Molder ha la peggio, viene preso in pieno e inizia a straparlare, completamente ignorato da tutti, ripetendo ossessivamente che “sta morendo”, pur non decidendosi mai a tirare le cuoia.

Qui avviene il prodigio che solo la bassa artigianalità messicana poteva partorire: il Tenente Garçia, pardon il Capitano Labesch, dopo essere stato morso da un serpente caracolla e cadendo prende una facciata contro il fuocherello che stava riscaldando una grotta e, forse complice la sua untissima pelle…ESPLODE!

Avete capito bene, esplode come se fosse un cartone di fuochi d’artificio sequestrati, causando la morte (presuppongo) di coloro rimasti intrappolati. Wilhelm e Annabella si salvano, ma Damballah viene arrostito.

E QUI FINISCE IL FILM!

Cioè finisce qui, non si capiva all’inizio il perché dell’opera e non se ne capisce la conclusione.

Citazioni

Recenti studi dimostrano che l’alcol è responsabile del 99,2% degli incidenti.

In definitiva

Se il film si intitolasse: “Un ottimo modo per sprecare soldi e pellicola”, meriterebbe l’Oscar e l’eterna apoteosi. Invece si chiama “Gli Adoratori della Morte” o uno qualunque degli altri titoli che ha avuto ed ha pure la pretesa di essere un horror. Risultato: come ebbe a dire Fantozzi della corazzata kotiomkin “è una cagata pazzesca”

Valutazione

Regia 0
Trama 1
Recitazione 1
Il giudizio di MoviesTavern (vale doppio!) 0
Voto complessivo 0.4

11 risposte a "#117. Gli Adoratori della Morte (1971)"

  1. Mio Dio, che brutta fine per il mitico Boris!
    I messicani dovrebbero dedicarsi solo ai film coi luchadores, non agli horror! 😀 Razzismo a parte, di filmacci ne producono tutti i paesi del mondo: per fortuna i distributori italiani sono sempre attenti ai meno costosi da distribuire da noi, evitando come la peste i prodotti buoni ma costosi 😛

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      1. Giusto, in effetti “Alex l’Ariete” è una pietra miliare del cinema, ma a questo punto sono costretto a replicare con “Il Bosco 1” già recensito che fa del nonsense il suo punto forte…

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