#126. Ilsa, la Belva del Deserto (1976)


Ilsa, la Belva del Deserto

Rieccoci con il secondo capitolo della rubrica Gr!ndhou$e dedicata ai film d’exploitation. Quest’oggi i riflettori sono puntati sul secondo capitolo della trilogia della nazisploitation più famosa, quella di Ilsa. Se siete in cerca di finto Women in Prison, inesattezze storico-geografiche e donne (semi)nude, “Ilsa, la Belva del Deserto è quello che fa per voi!

Ilsa, la Belva del Deserto è un film di Don Edmonds del 1976, secondo capitolo dedicato alla bionda carceriera. Vede ancora come protagonista Dyanne Thorne, assieme ad altre star dell’exploitation di quegli anni come Uschi Digard, già apparsa nei film di Russ Meyer “Supervixens” (1975) e “Beneath the Valley of the Ultra-Vixens” (1979), Haji, anche lei con Meyer in “Faster, Pussycat! Kill! Kill!” e Colleen Brennan, anch’ella in “Supervixens” e nel precedente titolo dedicato ad Ilsa, “Ilsa, la Belva delle SS” (1975) sempre di Don Edmonds. Nel cast anche George Flower, che lavorò in seguito con John Carpenter in “1997: Fuga da New York” (1981) e “Essi Vivono” (1988) e Marilyn Joi, presente anche in “Nurse Sherri” (1978) di Al Adamson.

Titolo originale: Ilsa, Harem Keeper of the Oil Sheiks

Anno: CDN/USA 1976

Regia: Don Edmonds

Soggetto: Langston Stafford

Sceneggiatura: Langston Stafford

Cast: Dyanne Thorne, Max Thayer, Jerry Delony (accreditato come Victor Alexander), Uschi Digard (accreditata come Elke Von), Haji, Tanya Boyd, Marilyn Joi, Su Ling, Richard Kennedy, George Flower, Colleen Brennan (accreditata come Sharon Kelly)

Durata: 93 minuti

101 Parole di trama (no spoiler)

Ilsa, sadica ufficiale nazista, si ritrova alle dipendenze del ricchissimo sceicco arabo El Sharif, del quale cura l’harem-prigione abitato dalle donne che egli rapisce per soddisfare le sue pulsioni e dalle prigioniere riluttanti che vengono orribilmente torturate. Sulle sue tracce si mette il comandante americano Adam, deciso a sovvertire il regno di terrore di El Sharif e ripristinare la legalità. Al suo arrivo lo sceicco prova a blandirlo con la prorompente sensualità di Ilsa, ma le sue intenzioni sono ben altre e, intenzionato a portare a termine la missione, utilizzerà ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi.

Recensione & Commento (appassionato)

Dyanne Thorne nel triennio 1975-1976-1977 interpretò il personaggio di Ilsa tre volte, in tre film che sono in seguito diventati punti cardine della nazisploitation, il sottogenere dell’exploitation affine talvolta al women in prison, dove le sadiche carceriere torturatrici di donne (spesso svestite e pure spesso lesbiche), sono delle inflessibili gerarche naziste. In quegli anni il suo personaggio vene sfruttato anche per altre produzioni, come in “Greta, la Donna Bestia” che Jesus Franco portò sul grande schermo ne 1976, fin troppo chiaramente ispirata al personaggio di Ilsa.

Il fisico statuario e prorompente di Dyanne Thorne, sempre coperto da camicette e bluse strettissime pronte ad esplodere per lasciare il palco alle sue giunoniche forme, ben si addice al ruolo della fredda aguzzina incarnata dal suo personaggio, che regalò alla trilogia di film un buon successo, soprattutto per ciò che riguarda il primo capitolo, “Ilsa, la Belva delle SS” diventato ormai oggetto di culto. Nel 1977 uscì invece “La Tigre del Sesso” non più diretto da Don Edmonds ma da Jean LaFleur. Gli occhi azzurri al tempo stesso spiritati ma anche ammalianti e beffardi dell’attrice, assieme al suo posticcio, ma ben riuscito accento tedesco la rendono una delle più celebri sadiche della cinematografia.

Fondamentalmente ciò che manca al suo personaggio è un uomo: come nel primo capitolo della saga, l’incontro con il marine americano, capace di usare il suo martello meglio di chiunque altro, aveva fatto sbroccare la bionda ufficiale, causandone, a conti fatti, la morte per una rivolta, anche in questo film alla protagonista, sempre fredda e inflessibile, basta prendere una puntina di belino (pardon, tradisco le mie origini liguri, leggi “una puntina di pene”) per sbarrellare e, ancora una volta finire sconfitta, non ammazzata ma rinchiusa in una botola a mangiare merda. Non so cosa sarebbe stato peggio.

Insomma a Ilsa va sempre e comunque male e se ciò pare una giusta punizione per una villain, non sembra molto intelligente far morire/imprigionare tutte le volte la protagonista per farla resuscitare nel capitolo successivo più in forma che mai. I produttori di questo film però se ne fregarono altamente e, convinti a ragione che il pubblico se ne fregasse della morte della protagonista e che fosse entrato in sala solamente per vedere tette a buon mercato, finanziarono lo stesso la pellicola.

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Da buon film d’exploitation Ilsa lascia terrificantemente in secondo piano la trama per dare largo spazio a scene di torture, ma soprattutto, a generosi corredi di poppe, mostrati in tutto il loro splendore per quasi un’ora e mezza. Per questo film Edmonds, da vecchio marpione qual è sceglie molte attrici “civetta”, utili per attirare pubblico in sala: ai fan del cinema erotico il nome di Uschi Digard ricorderà immediatamente le svestite commedie sexy di Russ Meyer, mentre Haji fa correre la memoria a quel capolavoro antesignano della bikesploitation “Faster Pussycat! Kill! Kill!”. Per non farsi mancare nulla il regista puntò ancora su Colleen Brennan, in seguito datasi al porno e su alcune attrici meno famose, come Marilyn Joi (apparsa con tanto di tette rifatte qualche anno dopo in “Nurse Sherri” del guru del trash Al Adamson), la maggiorata Su Ling e la longilinea Tanya Boyd.

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Non c’è bisogno di dire che tutte queste donnine passano larghissimi tratti del film completamente nude, sempre della serie “la trama, questa sconosciuta”. Di questo ringraziamo sentitamente Edmonds che tuttavia ci fa penare non poco prima di vedere il lato A di Dyanne Thorne in bella mostra.

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Proprio in relazione alla trama, la sua pochezza è data non solo dalla banalità e dalla fedele adesione ai tipici “intrecci” della nazisploitation, ma anche dalle soluzioni quantomeno bizzarre adottate nel film. Ad esempio non si capisce cosa ci faccia un’ufficiale nazista in mezzo agli arabi, nel bel mezzo di un harem situato probabilmente in Arabia Saudita o giù di lì.

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Ma tant’è, non siamo qui a vedere Ilsa per eviscerare il significato della trama, ma per vedere un po’ di roba buona a buon mercato. Per questo nella prigione dello sceicco c’è posto anche per un corso teso ad insegnare alle donne come soddisfare un uomo, corso peraltro tenuto da Ilsa. Ovviamente data la penuria di uomini le donne saranno costrette ad esercitarsi nell’arte dei preliminari tra di loro…

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I pochi momenti squisitamente splatter non sono così esagerati e di norma non vediamo orrore eccessivo dato che in molti casi la telecamera cambia inquadratura.

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Tuttavia ci è dato da vedere una serie di torture dalle più classiche, come la tortura ai seni, a quelle più elaborate, come lo strazio di una gamba divorata dalle formiche rosse, fino ad un occhio strappato dalle orbite, di fulciana memoria, del quale tutta via non ci viene mostrata l’esecuzione.

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Edmonds ci mostra anche i sotterranei del’harem-carcere dove vengono condotti esperimenti a base di alimentazione forzata (probabilmente allo sceicco qualche volta piace farsi una bella in carne): qui vediamo una donna che ha appena iniziato la “somministrazione”, un’altra ingrassata solitamente nei due seni, che riposano adagiati sulle ginocchia forti delle loro sproporzionate dimensioni e una ormai giunta alla fine della “cura” che ha messo carne ovunque, anche nei gomiti.

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Oltre alle torture la casa dello sceicco è anche una macchina da soldi, dal momento che le donne rapite vengono messe all’asta e vendute a cifre profumate a ricchi sceicchi del luogo, tra i quali spunta un nero, probabilmente appena uscito dal ghetto di New York, che punta alle aste con uno stile da rapper della fogna.

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Le scene di combattimento sono a dir poco ridicole, con degli scazzottamenti telefonati che di reale non hanno assolutamente nulla. Estremamente irreali anche i combattimenti di Satin e Velvet, perennemente nude e oliate che riescono ad avere la meglio di uno bello piazzato che se non si fosse limitato a prendere schiaffi ma avesse provato davvero ad alzare una mano, le avrebbe fatte fuori. Invece si ritrova con due palle in meno.

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I personaggi maschili, escluso l’americano, con un filino più di spessore, sono solo delle macchiette e regalano momenti (involontariamente?) comici: un esempio è il paffuto tedesco o presunto tale che si renderà partecipe di una scenetta da “commedia degli equivoci” quando sarà costretto a dividere il letto (e penso io non solo quello…) con un giovinetto donatogli dallo sceicco.

Detto questo non me la sento però di gettare la croce su Ilsa, anzi. Infine si tratta di un film d’exploitation, e la narrazione è estremamente funzionale allo scopo ultimo di queste pellicole: fare soldi, non importa come e non importa se si tratta di storie stupide. Per questo, nonostante si veda meno che nel suo predecessore, il film è un ottimo esempio di nazisploitation che solleticherà il palato agli amanti del genere e agli amanti delle procaci donne nude (mi dispiace per voi ragazze, qui di uomini se ne vedono pochini).

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Insomma, come qualcuno ebbe a dire, se ciò che uno cerca sono tette e culi al vento, Ilsa è il film adatto.

Scena imperdibile

Una delle scene più deliranti del film è la tortura a base di dildo d’argento inflitto ad una delle prigioniere, una punizione che ci vuole della fantasia ad inventarla. Vi spiego: praticamente il dottor non-so-come-si-chiama infila nella di lei vagina una specie di ferro di cavallo di metallo, ben in profondità, a quanto ho capito con un congegno esplosivo a percussione. Penetrandola poi con il dildo in profondità il meccanismo si innesca facendo esplodere il ventre della malcapitata.

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Questo vaneggiamento a quanto pare piacque molto a Edmonds che lo riutilizza alla fine per far saltare in aria la popputa asiatica nell’atto di soddisfare per un ultima volta lo sceicco.

Quasi comica la scena della “tortura” di Ilsa, costretta a farsi toccare, leccare e (pensiamo) trombare da un cencio umano, sporco come un letamaio e supponiamo dalla puzza di morte.

Citazioni

Welcome to my company of eunuchs!

In definitiva

Può avere un senso per i cultori della nazisploitation e per i fan di Dyanne Thorne (e come dal loro torto…). Ma sì, dai, una guardata ce la si può dare.

Valutazione

Regia 6
Trama 4
Recitazione 5
Il giudizio di MoviesTavern (vale doppio!) 5
Voto complessivo 5.0

9 risposte a "#126. Ilsa, la Belva del Deserto (1976)"

    1. Grazie mille Cassidy! Quelli di Russ Meyer in effetti sono ancora più di CULto e con un rapporto tette/personaggi da potenza del 10. Per una comoda lettura del sabato, trovi i link a questi film sia negli articoli che nella pagina “Encliclopedia”. Divertiti!

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